La Storia di Mamma e del suo Glioblastoma

In questi giorni ho ricevuto da Maria Grazia questa storia. Ieri era la festa della mamma ed anche se come vedrete non è una storia a lieto fine ho ritenuto utile pubblicarla in forma integrale perchè è una storia vera ed è anche una storia d’amore di una figlia per la sua mamma. Viva le mamme che si sono sempre vicine … in una forma o nell’altra e un grazie a Maria Grazia per questa bella testimonianza ricca di particolari.

“C’era una volta la mia dolce e gioiosa mamma, con tanta voglia di vivere, sempre pronta ad affrontare col sorriso tutto ciò che la vita gli riservava. Un bel giorno di Agosto, mamma ha iniziato a perdere questo sorriso, ha iniziato a piangere, così, senza un valido motivo, ma dando la colpa di questa sua tristezza a piccoli malanni che con l’avanzare dell’età possono sopraggiungere. La sua tristezza si è ben presto tramutata in ansia, tale da assumere atteggiamenti per noi incomprensibili, ma il neurologo le fece iniziare una cura per la depressione. Tale cura non aveva gli effetti desiderati e così, mentre il suo stato psichico risultava ogni giorno più alterato e mentre pensavamo dove portarla per accertare se si trattasse di psicosi ovvero un inizio di demenza, il 15 Ottobre si è ritrovata al Pronto Soccorso. In soli 4 giorni è passata da avere lentezza nei movimenti a deviare la rima buccale, cadere e non riuscire a muovere gli arti. Quando mi è stato comunicato l’esito della TAC, che parlava di grave tumore, ho pensato di non avere il tempo per riabbracciare mia madre, poi con l’esito della risonanza magnetica mi fu spiegato per bene tutto il percorso che, in media, i malati di GBM devono affrontare. La gioia di avere il tempo di poter fare ancora qualcosa di bello con mia madre si contrapponeva alla paura di come lei avrebbe affrontato tutto ciò che la aspettava. Il 22 Ottobre mia madre è stata operata, ignara della motivazione, ma con tanta forza e voglia di sottoporsi all’intervento per potersi riprendere la sua vita. L’intervento andò bene, 6 ore in sala operatoria per rimuovere il 70% della massa tumore localizzata nel lobo temporale destro, il 30% era posizionato verso i nuclei basali e sarebbe stato troppo pericoloso intervenire. Dopo l’intervento mia madre era in perfetta forma e pronta a ritornare a casa, sofferente solo della solitudine in cui, in questo tempo di COVID-19, i malati ospedalieri sono costretti a vivere. Tuttavia dopo 3 giorni dall’intervento, mia madre paralizza nuovamente il lato sinistro del corpo, una nuova TAC mostra lo scatenarsi di una reazione edemigena, mi dicono post-operatoria. Il 28 ottobre mia madre viene stata dimessa e torna a casa, in sedia a rotelle e come un sacco di patate. Noi eravamo pronti ad assisterla e a rimetterla in piedi durante i 30 giorni che ci separavano dal primo incontro con il radioterapista, durante il quale le avremmo detto la velata verità sulla sua malattia. Mia madre non vi è mai arrivata a quel giorno. Il giorno previsto per l’appuntamento versava in coma di secondo grado, in quanto quel 30% di tumore rimasto nel suo cervello si era dato da fare, intrappolando il tronco encefalico e scavalcando il corpo calloso. A meno di 20 giorni dall’intervento l’aveva ridotta di nuovo a un sacco di patate e allettata. 

Così mia madre non ha mai saputo la verità, non ha mai saputo che non solo aveva il tumore più brutto che esiste al mondo, ma addirittura in una nelle forme più aggressive. Dall’istologico non vi era un solo marcatore che ci poteva dare speranza (non metilato, idh1 negativo, gap e atrx positivo, ki67 al 50%) e nessuno ci spiegava scientificamente perché mia madre si era già ridotta in questo stato e perché non avrei potuto più fare nemmeno una sola passeggiata con mia madre. Chiunque sentivamo e pagavamo a colpi di 200 euro ci diceva solo di iniziare la radio prima dei 30 giorni perchè se ne sarebbe andata via nel giro di qualche settimana. Mia madre ci ha insegnato la Fede, è andata in coma pregando lo Spirito Santo, e noi abbiamo sempre pregato, pur sapendo quale sarebbe stato il suo destino. Il 5 Dicembre dopo quasi una settimana di coma, abbiamo iniziato a somministrare ossigeno, proseguendo con la terapia con mannitolo (500 al giorno) e cortisone (8mg al giorno). Crisi respiratoria, battiti accelerati e febbre alta … pensavamo fosse arrivato il momento, per quello che ci avevano detto i medici. Invece, mamma si è risvegliata dal coma, mi ha parlato anche se con un filo di voce ed è ritornata ad essere sveglia di giorno per altre 2 settimane. Poi lentamente si è riaddormentata e si è spenta il 10 Gennaio. 

Da questa bruttissima esperienza che ho vissuto ho imparato molto sul glioblastoma, ma soprattutto ho capito che due persone con la stessa diagnosi difficilmente avranno la stessa prognosi. La massa ha lo stesso nome, ma in ogni individuo la massa si riproduce in maniera differente ed ogni organismo reagisce in maniera differente ad essa. Pertanto, la storia di mia madre è una storia triste, ma non vuol dire che è sempre così. Ci sono molte persone che sopravvivono due anni e oltre … magari nel frattempo, come speravo anche io, la scienza riuscirà a trovare il rimedio che tutti aspettiamo da decenni. E infine, l’oncologia integrata non va esclusa solo perché non vi viene proposta, come è successo a me. Non può fare il miracolo, ma quanto meno attenua gli effetti collaterali delle terapie standard, per chi ci arriva, ovvero i sintomi causati dalla malattia.”