Altri farmaci chemioterapici e antitumorali per la cura del Glioblastoma Multiforme
Eccoci qui al quinto episodio del progetto di traduzione della guida di Ben Williams sulle opzioni di trattamento per il Glioblastoma Multiforme. Si tratta del capitolo 4 della guida che parla di lomustina, carmustina e gliadel wafer, composti di platino, procarbazina, bevacizumab (Avastin), inibitori dell’EGFR e gleevec. Il consiglio è ancora quello di utilizzare queste informazioni per discuterne con l’equipe medica che vi sta seguendo cui potete indicare anche i riferimenti ai lavori scientifici a supporto. Buona lettura!
CCNU (lomustina)
Uno studio condotto in Germania ha combinato il TMZ con la CCNU (lomustina), il componente nitrosourea della combinazione PCV (52). I pazienti (N = 39) hanno ricevuto CCNU il giorno 1 di ogni ciclo di 6 settimane e TMZ nei giorni 2-6. Otto pazienti hanno ricevuto dosi intensificate di entrambi i farmaci, con risultati di sopravvivenza leggermente migliori (ma con una tossicità sostanzialmente aumentata). Si sono quindi aggregati i risultati di tutti i pazienti. Il tempo di sopravvivenza mediano è stato di 23 mesi e i tassi di sopravvivenza sono stati del 47%, 26%, 18% e 16% rispettivamente a 2, 3, 4 e 5 anni. Quattro dei 39 pazienti non hanno avuto recidive a 5 anni. Solo 23 dei 39 pazienti sono stati valutati relativamente allo stato del gene MGMT. Quelli con MGMT metilato avevano una sopravvivenza mediana di 34 mesi, mentre quelli con MGMT non metilato avevano una sopravvivenza mediana di soli 12,5 mesi.
Questi risultati, incluso un tasso di sopravvivenza a 5 anni del 16%, sono tra i migliori finora riportati, anche se con un numero relativamente piccolo di pazienti. Ma si dovrebbe anche notare che i pazienti che hanno subito una recidiva hanno ricevuto anche altre terapie, il che può aver contribuito in modo sostanziale alla loro sopravvivenza. L’aggiunta di CCNU alla terapia standard per il glioblastoma di nuova diagnosi è attualmente in sperimentazione clinica di fase 3 in Germania.
BCNU (carmustina) e Gliadel (wafer con carmustina)
È stata studiata anche la combinazione di Temodar con BCNU, la chemioterapia tradizionale per i glioblastomi, ma la sperimentazione è stata complicata da problemi di tossicità e dalla scelta del programma ottimale di somministrazione della dose dei due farmaci. Tuttavia, un rapporto pubblicato di recente che coinvolge pazienti con tumori ricorrenti dopo aver ricevuto la radioterapia, e nessuna precedente chemioterapia non ha mostrato alcun beneficio derivante dalla combinazione di BCNU con Temodar, rispetto a Temodar da solo, poiché la PFS-6 per la combinazione era solo del 21%, accompagnata da una notevole tossicità. (53).
Una variazione importante nell’uso di BCNU è stata lo sviluppo di wafer polimerici noti come gliadel wafer. Un certo numero di quest wafer viene impiantato nel sito del tumore al momento dell’intervento. La BCNU poi si diffonde gradualmente dai wafer nella porzione circostante del cervello. Un possibile problema con questo trattamento è che il farmaco si diffonde solo a una piccola distanza dai siti di impianto e quindi non riesce a raggiungere porzioni significative del tumore. Tuttavia, uno studio clinico di fase III ha dimostrato che il tempo di sopravvivenza per i gliomi ricorrenti di alto grado è significativamente migliorato con il wafer gliadel rispetto a quello dei soggetti di controllo che ricevono wafer senza BCNU, sebbene l’aumento del tempo di sopravvivenza, anche se statisticamente significativo, era relativamente modesto (54). Probabilmente la migliore stima del beneficio del gliadel wafer come trattamento iniziale proviene da uno studio clinico randomizzato, condotto in Europa (55), che ha riportato una sopravvivenza mediana di 13,9 mesi per i pazienti che ricevevano gliadel rispetto a una sopravvivenza mediana di 11,6 mesi per i pazienti che avevano ricevuto il wafer con il placebo. Come con altre forme di chemioterapia, erano evidenti differenze maggiori per la sopravvivenza a lungo termine. Dopo un periodo di follow-up di 56 mesi, 9 dei 120 pazienti che avevano ricevuto il gliadel wafer erano ancora vivi, rispetto a solo 2 dei 120 di quelli che avevano ricevuto il placebo. Tuttavia, i risultati non sono stati riportati separatamente per i glioblastomi rispetto ad altri gliomi di alto grado, suggerendo che i risultati sarebbero stati più modesti per i soli pazienti con glioblastoma.
Quando il gliadel wafer è stato combinato con il protocollo Stupp, il tempo di sopravvivenza sembra essere significativamente migliore, come valutato in tre diversi studi clinici retrospettivi. Nel primo, condotto dal Moffitt Cancer Center in Florida (56), la combinazione ha prodotto una sopravvivenza globale mediana di 17 mesi e un tasso di sopravvivenza a 2 anni del 39%. In un secondo studio clinico riportato dal Johns Hopkins, in cui è stato sviluppato il gliadel wafer (57), 35 pazienti che hanno ricevevano il trattamento combinato avevano un tempo di sopravvivenza mediano di 20,7 mesi e una sopravvivenza a 2 anni del 36%. In un terzo studio condotto presso la Duke University (58), 36 pazienti che hanno ricevuto il gliadel wafer in aggiunta al protocollo TMZ standard hanno avuto una sopravvivenza mediana di 20,7 mesi e una sopravvivenza a 2 anni del 47%. I pazienti della Duke hanno ricevuto anche la chemioterapia rotazionale (che includeva TMZ) dopo la radioterapia. È importante tenere presente che i pazienti idonei a ricevere gliadel devono avere tumori operabili, il che esclude i pazienti che hanno ricevuto solo una biopsia e che hanno come risultato una prognosi generalmente più sfavorevole. L’effetto di questo bias di selezione è difficile da valutare ma è probabile che una frazione significativa dei pazienti ottengano un miglioramento del tempo di sopravvivenza quando gliadel wafer insieme al TMZ viene confrontato con il solo uso del TMZ.
Uno dei principali vantaggi di gliadel è che evita gli effetti collaterali sistemici della BCNU per via endovenosa, che possono essere considerevoli, non solo in termini di bassa conta ematica ma anche in termini di un rischio significativo di gravi problemi polmonari. Certamente anche il gliadel wafer produce i suoi effetti collaterali, incluso un elevato rischio di infezioni e di convulsioni intracraniche. Tuttavia, la mancanza di tossicità sistemica rende il gliadel wafer un buon candidato per varie combinazioni di farmaci. Particolarmente degno di nota è un recente studio di fase II con 50 pazienti con tumori ricorrenti che ha combinato il gliadel wafer con 06-BG, un farmaco che esaurisce l’enzima MGMT coinvolto nella riparazione del danno indotto dalla chemioterapia, ma causa anche una tossicità del midollo osseo inaccettabile quando la chemioterapia è somministrata per via sistemica . Tassi di sopravvivenza a sei mesi, un anno e due anni erano rispettivamente dell’82%, 47% e 10% (59), il che sembra notevolmente migliore rispetto al precedente studio clinico con tumori ricorrenti che utilizzava gliadel senza 06-BG, in cui i tassi di sopravvivenza corrispondenti erano del 56%, 20% e il 10%. Anche la sopravvivenza mediana è stata notevolmente migliorata con l’aggiunta di 06-BG (50,3 settimane contro le 28 settimane).
Composti di platino
È stato anche segnalato un miglioramento dei risultati rispetto a quelli ottenuti con il Temodar quando il Temodar è stato combinato con cisplatino. In un paio di studi clinici condotti in Italia (61, 62) con pazienti con tumori ricorrenti, la PFS-6 è stata del 34% e del 35%. Un protocollo di trattamento con pazienti di nuova diagnosi che sembra anche aver prodotto risultati migliori rispetto a Temodar come agente singolo ha combinato Temodar sia con cisplatino che con etoposide (VP-16), somministrati attraverso l’arteria carotide (63). Il cisplatino e l’etoposide sono stati somministrati dopo l’intervento chirurgico e sono stati somministrati per tre cicli distanziati ogni 3 settimane, seguiti dal protocollo standard di radioterapia più Temodar a basso dosaggio, quindi Temodar ad alto dosaggio nel programma dei giorni 1-5 di ogni mese. Per 15 pazienti studiati, la sopravvivenza mediana è stata di 25 mesi.
Procarbazina
Il Temodar è stato anche combinato con procarbazina (64). Sebbene il rapporto di quello studio non includesse la statistica PFS-6, riportò una percentuale insolitamente alta di regressioni tumorali, suggerendo che questa combinazione potrebbe essere efficace.
Bevacizumab (Avastin)
Lo sviluppo più notevole nelle combinazioni di farmaci è stata l’aggiunta del farmaco anti-angiogenico, l’Avastin (noto anche come bevacizumab), al protocollo standard Stupp. Come verrà discusso in seguito, l’Avastin ha l’approvazione della FDA per il trattamento dei glioblastomi che si sono ripresentati o sono progrediti dopo il trattamento iniziale. Diversi studi clinici hanno ora studiato la sua combinazione con il protocollo standard.
Recentemente, sono stati confrontati in due grandi studi clinici randomizzati di fase III il protocollo Stupp e il protocollo Stupp e Avastin, per i pazienti con nuova diagnosi. Nel primo di questi (70), noto come studio AVAglio, la PFS mediana era di 10,6 mesi per coloro che hanno ricevuto anche l’Avastin rispetto ai 6,2 mesi per coloro che hanno ricevuto solo il protocollo Stupp, una differenza statisticamente significativa. Tuttavia, la sopravvivenza globale mediana non era diversa (16,8 mesi contro 16,7 mesi). Va notato che i pazienti nel gruppo di controllo hanno ricevuto l’Avastin dopo che si è verificata la progressione del tumore, per cui è anche possibile il confronto tra l’Avastin somministrato precocemente rispetto a l’Avastin somministrato dopo la recidiva. Gli ulteriori risultati sono stati che il 72% del gruppo che ha ricevuto precocemente l’Avastin era vivo a un anno, rispetto al 66% del gruppo di controllo, mentre la sopravvivenza a due anni era del 34% contro il 30%.
Nella seconda di queste sperimentazioni (71), condotta dal consorzio RTOG, il progetto della sperimentazione è stato essenzialmente simile allo studio AVAglio, così come i risultati. La PFS mediana è stata di 10 mesi per coloro che hanno ricevuto Avastin rispetto a 7,3 mesi per il gruppo di controllo (ancora una volta statisticamente significativa), mentre la sopravvivenza globale mediana è stata di 15,7 mesi per il gruppo Avastin rispetto a 16,1 mesi per il controllo, una differenza non significativa.
La migliore interpretazione di questi risultati è che i pazienti hanno un tempo più lungo senza progressione del tumore e presumibilmente una migliore qualità della vita, quando l’Avastin viene utilizzato come parte del trattamento iniziale. Tuttavia, non vi è alcun beneficio per la sopravvivenza globale, rispetto all’utilizzo di Avastin solo quando viene rilevata una recidiva. Un’ulteriore caratteristica dei risultati, non sottolineata dagli autori dei rapporti, è che i tempi di sopravvivenza globale non sono stati migliori, anzi in alcuni casi sono stati anche peggiori, di quelli ottenuti con il solo protocollo Stupp.
Inibitori dell’EGFR: Iressa, Tarceva ed Erbitux (gefitinib, erlotinib e cetuximab)
Questi tre farmaci, che hanno l’approvazione della FDA per diversi tipi di cancro, hanno la caratteristica comune di avere come obiettivo un canale di segnalazione della crescita noto come fattore di crescita epidermico. La sovraespressione o la mutazione dei recettori dell’EGF è coinvolta nella crescita di molti diversi tipi di cancro, tra cui più della metà dei glioblastomi. In generale, l’uso di questi farmaci come agenti singoli ha prodotto risultati deludenti, sebbene si siano verificati casi occasionali di sopravvivenza a lungo termine. Risultati più promettenti si sono verificati quando gli inibitori dell’EGFR sono stati usati in combinazione con il protocollo Stupp.
Quando il Tarceva è stato aggiunto al protocollo standard con il Temodar per i pazienti con nuova diagnosi, la sopravvivenza mediana è stata di 15,3 mesi (N = 97) in uno studio (72) e di 19,3 mesi (N = 65) in un secondo studio (73). I risultati del secondo studio sono stati confrontati con due precedenti studi di fase II che hanno coinvolto una popolazione di pazienti simile, in cui Temodar è stato combinato con talidomide o accutano. La sopravvivenza mediana per questi studi è stata di 14,1 mesi.
I risultati moderatamente positivi dello studio appena descritto sono in conflitto con uno studio molto simile (N = 27) condotto presso la Cleveland Clinic (74). In quello studio la sopravvivenza mediana è stata di soli 8,6 mesi, notevolmente peggiore dei risultati ottenuti quando temodar è stato utilizzato da solo. Il modo in cui i risultati contrastanti possono essere riconciliati non è chiaro.
Erbitux (noto anche come cetuximab) è un anticorpo monoclonale, che differisce da Iressa e Tarceva, che sono piccole molecole. Ora, non si ritiene che gli anticorpi monoclonali attraversino la barriera emato-encefalica, quindi ci si aspetterebbe che l’Erbitux fosse inefficace contro i tumori cerebrali . Come singolo agente, questo sembra essere vero, poiché la PFS-6 era solo del 10% per i pazienti con gliomi ricorrenti di alto grado (75). Ma quando l’Erbitux è stato aggiunto durante la radioterapia al protocollo standard con temozolomide per 17 pazienti di nuova diagnosi (76), l’87% dei pazienti era vivo alla fine di un anno e il 37% era libero da progressione. Il tempo di sopravvivenza mediano non era ancora disponibile al tempo di pubblicazione del rapporto. È importante notare che alcuni ricercatori ritengono che le radiazioni interrompano temporaneamente la barriera emato-encefalica.
Un importante sviluppo per identificare i pazienti che potrebbero rispondere a Tarceva è venuto da uno studio (77) su pazienti affetti da glioma le cui patologie tumorali sono state valutate anche per i loro livelli di una seconda proteina chiamata PKB / AKT. Questo è un canale di segnalazione che risulta dall’inattivazione del gene PTEN, un gene soppressore del tumore comunemente mutato nei glioblastomi. Nessuno dei tumori con alti livelli di PKB / AKT ha risposto al trattamento con Tarceva, mentre 8 su 18 tumori con bassi livelli hanno risposto al trattamento. Un perfezionamento di questo approccio ha testato tre differenti proteine: espressione di PTEN, espressione di EGFR e di una mutazione della proteina EGFR nota come EGFR variante III (78). Il livello di EGFR non era correlato al risultato clinico, mentre la co-espressione di EGFR variante III e PTEN hanno predetto fortemente l’esito clinico.
Poiché l’inibizione di PKB / AKT dovrebbe plausibilmente aumentare l’efficacia degli inibitori di EGFR, una strategia di trattamento attualmente in fase di sperimentazione è la combinazione di inibitori di EGFR con rapamicina (nome commerciale rapamune, nome generico sirolimus), un farmaco esistente utilizzato per i trapianti di organi per sopprimere il sistema immunitario e prevenire il rigetto d’organo, ma che inibisce anche il complesso mTOR 1, un promotore della crescita tumorale a valle dell’AKT. Uno studio di fase I (79) ha combinato Iressa con rapamicina per 34 pazienti (25 GBM) con tumori ricorrenti; due pazienti hanno avuto una parziale regressione del tumore e 13 pazienti hanno raggiunto una cronicizzazione della malattia. La PFS-6 è stata del 24%. Un secondo studio clinico (80) con 28 pazienti fortemente pretrattati con basso stato di performance (punteggio Karnofsky mediano di 60) ha somministrato Iressa o Tarceva in combinazione con rapamicina, con il risultato che il 19% dei pazienti ha avuto una regressione del tumore mentre il 50% ha avuto una malattia stabile, con un valore di PFS-6 del 25%. Tuttavia, un terzo studio clinico (81) che ha combinato tarceva e sirolimus per GBM ricorrente ha avuto risultati molto peggiori, con un valore di PFS-6 di solo il 3%.
I risultati precedenti dell’uso di inibitori dell’EGFR per il trattamento del GBM vanno da un’efficacia moderatamente positiva a un’efficacia minima. Le ragioni di questa variabilità non sono ovvie, poichè l’efficacia del trattamento dipende probabilmente da numerosi marcatori genetici. Pertanto, senza un’analisi genetica dei singoli tumori, è difficile poter capire cosa raccomandare.
Un recente documento (83) di potenziale maggiore importanza ha notato che i tumori potrebbero non rispondere ai farmaci anti-EGFR a causa dell’attivazione del gene per un secondo fattore di crescita noto come recettore I del fattore di crescita insulino-simile (IGF1R). L’IGF1R è stato anche suggerito come fonte di resistenza al tamoxifene e a vari altri agenti di trattamento. È degno di nota, quindi, che due degli integratori da discutere, silibinina e licopene, sono noti per inibire l’IGF-I. Ciò suggerisce che la silibinina e il licopene potrebbero aumentare sostanzialmente l’efficacia di qualsiasi trattamento che si basi sull’inibizione dell’EGFR. La metformina, un farmaco per il diabete ampiamente utilizzato, è anche noto per ridurre il livello di IGF-1, attualmente è in fase di studio come trattamento per diversi tipi di cancro.
Una questione importante è il modo in cui l’efficacia degli inibitori dell’EGFR è correlata ai risultati discussi in precedenza secondo cui i programmi metronomici di Temodar producono un ampio miglioramento della sopravvivenza per i GBM che hanno sovraespressione di EGFR. Tutti gli studi clinici discussi in questa sezione si sono basati sul programma Temodar standard, quindi non è chiaro se un programma metronomico possa produrre risultati diversi.
Gleevec (imatinib)
Il Gleevec (noto anche come imatinib), una piccola molecola che prende di mira un gene specifico coinvolto nella crescita di una forma di leucemia, ha suscitato un notevole interesse per la sua efficacia senza precedenti. Come verrà discusso in seguito, questa strategia generale di identificare i segnali di crescita per la crescita del tumore e quindi attaccare quei segnali, o i loro recettori, è una delle principali nuove aree della ricerca sul cancro. Tali canali di segnalazione della crescita sono spesso coinvolti in diversi tipi di cancro. Sebbene il Gleevec sia stato sviluppato specificamente per la leucemia mieloide cronica, è stato anche dimostrato che inibisce un tipo più generale di segnale di crescita, il fattore di crescita derivato dalle piastrine (PDGF), che è anche coinvolto nella crescita di gliomi e altre forme di cancro (es. carcinoma polmonare a piccole cellule).
I risultati generalmente deludenti ottenuti utilizzando il gleevec per i tumori cerebrali possono dipendere da diverse ragioni. Il farmaco potrebbe non attraversare facilmente la barriera emato-encefalica e potrebbe generare diversi meccanismi di resistenza rispetto ad altri agenti utilizzati nel trattamento. Nello studio del gleevec per la leucemia, ad esempio, sono stati osservati alti livelli di autofagia, che possono essere inibiti dall’uso concomitante di clorochina o altri inibitori dell’autofagia.
Una variazione importante nell’uso di gleevec è stata quella di limitare il suo utilizzo a pazienti con tumori ricorrenti che sono risultati positivi per la sovraespressione del recettore del fattore di crescita derivato dalle piastrine (90). Il PDGFR è sovraespresso nel 50-65% dei tumori, in particolare nei glioblastomi secondari, che si ritiene si siano evoluti da tumori di grado inferiore (in contrasto con i glioblastomi di nuova diagnosi). Per questa popolazione limitata di pazienti, il valore di PFS-6 è stata del 53%.
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Bene! Spero che la lettura vi sia piaciuta, sono stato il più fedele possibile. A brevissimo un nuovo capitolo!